L’uovo di Colombo, con tanto di sorpresa dentro

Il 7 novembre 2019 il Quotidiano della Sanità pubblicava un articolo alquanto polemico nei confronti dei MMG da parte dello storico Ivan Cavicchi. Gli risponde, con grande lucidità, Alessandro Rubino, MMG in formazione di Vigevano (PV), con l’articolo che qui riportiamo.

di Alessandro Rubino

Ho letto con molta attenzione le argomentazioni sostenute da Cavicchi sull’uso della tecnologia di primo livello nello studio del Medico di Famiglia. Da parte mia, medico di medicina generale in formazione che guarda con grande attenzione a questi fenomeni di innovazione della professione, vorrei esprimere alcune considerazioni.

Non c’è dubbio che l’approccio della diagnostica di primo livello *di qualità*, diffusa sul territorio non “a casaccio”, ma attraverso la rete dei Medici di Famiglia, contribuirà a risolvere quei problemi sistemici. Ma questo perché prima ancora che risolvere i problemi sistemici, si parte con il risolvere esigenze (di salute, ma anche economiche e logistiche) dei pazienti e delle loro famiglie! Questo è un punto di vista che non sempre viene colto, anche da molti esperti e che invece i Medici di Famiglia tengono costantemente presente nella loro professione. E fa non poca differenza. La stessa che c’è tra le parole e i fatti concreti.

L’ l’innovazione tecnologica e il digitale, consentono la miniaturizzazione dei dispositivi, l’abbattimento dei loro costi, la loro messa in rete con possibilità di accesso remoto a risorse specialistiche. Se non si vede questo cambiamento in atto, come vero “enabler” di questo cambio di passo, di un nuovo storico paradigma di innovazione della assistenza territoriale, si resta sul piano dell’ideologia.

Il fulcro del cambiamento non è solo la disponibilità di nuovi devices di qualità, dagli ingombri e dai costi più convenienti per ordini di grandezza rispetto al passato, ma anche la rete e il digitale, che consentono (telemedicina) una forte diretta e organica integrazione tra il Medico di Famiglia e gli Specialisti, offrendo al paziente un accesso rapido e in senso lato a tutto il sistema, praticamente immediato, senza spostamenti, con una refertazione specialistica di altissima qualità, con rilevante valore anche dal punto di vista medico-legale, in un rapporto Medico di Famiglia – Specialista – Sistema delle cure – Cittadino, che più stretto diretto e organico di così non si può. A questo poi si deve aggiungere la presenza, sempre più qualificata, nello Studio del Medico di Famiglia, di personale come Collaboratori di Studio, Infermiere di Famiglia, Assistenti Sociali, Tecnici della riabilitazione, che favoriscono la realizzazione di quella Unità Territoriale Professionale o micro-team, che può finalmente sviluppare e facilitare tutte le potenzialità assistenziali della medicina del territorio.

Si fanno obiezioni a questo innovativo approccio del tipo della introduzione di “diseguaglianze” che l’adozione della diagnostica da parte dei Medici di Famiglia creerebbe. Lo pseudo-ragionamento è questo: “poiché non tutti i medici di famiglia, ma anzi inizialmente solo i più giovani e motivati adotteranno questi strumenti, si produrrà una disuguaglianza di trattamento tra i pazienti di questo e di quel medico, e questo è inaccettabile”.

Questa obiezione a ben vedere non sta in piedi. Ovvio che l’introduzione di nuovi percorsi sia sempre “disomogeneo”, con una “avanguardia” che fa da apripista a un’ adozione più vasta, come sempre accade. Ma che c’entra la disuguaglianza tra i pazienti? Sarebbe come dire che siccome l’adozione di una nuova tecnologia da parte di un ospedale di eccellenza produce disuguaglianza tra i pazienti che non possono farsi curare lì, allora quella tecnologia non andrà adottata da nessuno: posizione molto discutibile e pretestuosa! Si tratterà semmai di lavorare ancora più alacremente (come correttamente il Ministro Speranza e il suo Staff sta facendo ora), perché le nuove tecnologie, inizialmente adottate da un gruppo di “early adopters” (si chiamano così per questo!) possano diffondersi il più rapidamente possibile a beneficio di tutti, non di stopparle in nome di un reazionario concetto di “uguaglianza al ribasso”, livellando tutto alla bassa qualità.

Anche perché a ben vedere alla fine dei conti, la ricetta che viene suggerita in realtà è proprio quel tanto criticato Uovo di Colombo: quella della tecnologia di primo livello nello studio del Medico di Medicina Generale. “Da ultimo non scarterei tout court la teoria dell’integrazione. Considerando le complessità accennate, personalmente metterei in ogni studio medico le tecnologie diagnostiche senza alcuna eccezione ma chiederei agli specialisti di garantirmi la qualità diagnostica”.

Ma solo a chi è sfuggito qualcosa o perché magari poco esperto del settore, non riesce a vedere che tali innovazioni, semplici, di basso costo, largamente fruibili e utilizzabili, garantiscono al medico di famiglia e al paziente proprio questo: qualità, certezza e garanzia di un percorso di presa in carico rapida e accessibile.

Grazie alle tecnologie digitali e alla tele-medicina gli specialisti indipendentemente da vincoli geografici e di localizzazione, possono essere presenti con rapidità nel percorso di cura attivato dal Medico di Famiglia, in tutti gli studi di medicina generale del paese, lasciando al Medico di Famiglia, come è giusto che sia, nell’interesse dei pazienti e dei cittadini, la chiave e la gestione della relazione personale con ciascuno di loro, perché questo è il proprium della Medicina Generale, non più interpretata, come medicina “residuale” o ciò che resta della medicina tolte tutte le specializzazioni: ma come quella medicina “in movimento”, che fa del radicamento sul territorio e della relazione con l’utente e della sua presa in carico la sua “specialità”, ampliando progressivamente lo spettro e la qualità dei servizi che rende in maniera capillare e per questo anche più economica ed efficace la sua azione.

Ridisegnare la professione, saper proporre in concreto una nuova figura di medico autore e la sua organizzazione professionale, ricollocare la figura del medico in una società in evoluzione significa avere la capacità di mettersi in gioco in prima persona, vivere quotidianamente la realtà della gente che frequenta gli studi medici, condividerne i bisogni, conoscere e saper cambiare i paradigmi più elementari della prossimità e pro-attività, prima di teorizzare strategie fumose e inapplicabili. Vuol dire lasciare spazio a chi la professione la vivrà nei prossimi trent’anni e a cui non servono prediche paternalistiche, ma opportunità e libertà di fare.

Questo a sua volta, crea innovazione e futuro, apre a nuovi ambiti, anche nel più ampio mercato del lavoro, sviluppo economico-produttivo e coesione sociale. E credo che questa prospettiva, con buona pace dei suoi detrattori, faccia parte delle priorità non solo per il sistema salute ma soprattutto del Sistema Paese.

Lascia un commento